Questo volume raccoglie l’intera dilogia
- Loquendum – amore, sangue e socialnetwork
- Loquendum – noi ci siamo ancora
La storia si svolge in un futuro molto vicino, a fine 2025 un gruppo segreto disposto ad usare metodi criminali, simile ad una P2 internazionale, compra Facebook con una brillante operazione in borsa. Il suo scopo è unire al loro già grande potere economico-finanziario anche la possibilità di controllo su gran parte della popolazione mondiale. Resisi conto del pericolo alcuni ragazzi e alcune università in gran segreto inizieranno a creare Loquendum, un concorrente della nuova Facebook, dove gli utenti sono soci e non ospiti e dove le regole sono giuste. Il gruppo criminale scoperto il progetto inizierà una devastante caccia all’uomo. I ragazzi dovranno prima di tutto pensare a salvare le loro vite e poi cercare di sconfiggere l’oscuro potere che sta per avvolgere l’umanità.
Incipit
«Vi prego perdonatemi! Ho fatto una cazzata, lo so, e ora è tardi per rimediare».
Era prostrato l’uomo che pronunciava queste parole nella piccola stanza illuminata, sia pur malamente, dalla luce proveniente da una piccola finestra alle spalle di chi questa implorazione ascoltava.
Nessuna risposta, nessun cenno, nessuna reazione a quella supplica sottolinearono la gravità della colpa per la quale si chiedeva perdono.
L’uomo non riusciva a distinguere i tratti di chi aveva di fronte: la luce della finestra colpiva diretta i suoi occhi, smorzandone la capacità visiva. Ma poteva intuirne l’espressione: fredda e tagliente come quella luce. Appunto.
L’atmosfera pesante, cupa, rendeva ancora più penoso lo stato d’animo dell’uomo che per rompere il silenzio continuò:
«Non volevo farvi torto! Mi avevano convinto che quel provvedimento fosse giusto e non ho valutato le conseguenze! Sono stato un idiota! Ho assolutamente bisogno del vostro perdono! Non distruggete la mia carriera!».
Con studiata lentezza colui a cui tanta deferenza era rivolta iniziò a parlare.
«Avevi avuto istruzioni precise. Sapevi cosa ci si aspettava da te eppure, hai fatto di testa tua. Il provvedimento che hai votato non lo volevamo e tu lo sapevi!».
A quelle parole il poveretto trasalì e spinto dalla disperazione rantolò:
«Vi prego! Non posso perdere il contatto con i miei elettori! Non cancellatemi! Vi assicuro che non vi deluderò più».
«Non lo meriti – rispose – tuttavia nella nostra infinita generosità, ti concediamo un’altra possibilità. Il tuo account a New-facebook sarà riattivato domani, ora puoi andare. Ricorda: un altro passo falso e sei finito!».
Il politico aveva scongiurato la perdita dell’interazione coi suoi elettori, ma si sentiva come chi è stato in una centrifuga, spremuto, annientato, tuttavia non aveva scelta e doveva essere grato a chi gli accordava un’ultima possibilità. Pensava che la sua brillante carriera non fosse finita e prometteva ancora di farlo salire in alto, sempre più in alto.
In strada si rese conto di essere sudato. Un sudore acido, maleodorante. Strinse i pugni nelle tasche e sibilò tra i denti:
“Maledetto Zuckerberg! Dovevi proprio vendere Facebook a questa feccia!”.
Capitolo 1
L’iniziazione
Aveva atteso con impazienza l’ora dell’appuntamento e come spesso accade in questi casi si era recato all’università con forte anticipo.
Era troppo teso per provare a studiare e si mise a ciondolare in giro tra il bar e le varie aule che si susseguivano in un lungo corridoio.
Ogni tanto incontrava persone conosciute che salutava o con cui si fermava a scambiare qualche chiacchiera, ma la sua mente era fissa lì, a quella porta da aprire alle 11,30.
Con sollievo accolse l’allarme che aveva programmato sul suo cellulare. Era il momento.
Aprendo la porta ebbe un attimo di esitazione. Quel gesto equivaleva al passaggio del Rubicone: non sarebbe più tornato indietro. Quindi entrò nella piccola stanza dalle pareti bianche, ben illuminata dalla luce del sole, che penetrava da un finestrone affacciato sul giardino.
Dette un’occhiata ai ragazzi seduti attorno ad un tavolo.
Sembravano avere più o meno la sua stessa età. Immaginò che lo stessero inevitabilmente valutando: affidabilità, capacità… Si sentì d’un tratto intimidito, come di fronte ad una commissione d’esame.
Poi la sua attenzione fu attratta dall’uomo, apparentemente sulla cinquantina, dai capelli brizzolati e altezza superiore alla media, che lo accolse. Era il professore di programmazione distribuita della loro facoltà.
«Vi presento Romolo – disse il professore rivolto ai presenti – È un ragazzo molto promettente, è la risorsa che ci serviva. Di lui ci possiamo fidare» aggiunse poi, come rispondendo alla domanda sospesa nello sguardo dei presenti.
Quindi passò a presentare brevemente i convenuti al nuovo arrivato.
Davide, piccolo di statura e un po’ sovrappeso. In facoltà si faceva vedere poco, sempre chiuso in camera al computer, ormai quasi un’estensione del suo corpo. Era il classico smanettone più a suo agio con i computer che con le persone e men che meno con le ragazze, almeno dal vivo. In realtà lo aveva già conosciuto all’esame di programmazione, anche se i loro rapporti si limitavano a un cenno di saluto quando capitava di incrociarsi.
Leonardo non passava inosservato se non altro per il fatto di essere costretto su una sedia a rotelle, paralizzato da parte del busto in giù. Al contrario del collega, era abbastanza conosciuto in facoltà, dove si era fatto molti amici e si era fatto notare per la sua abilità di programmatore.
Cesare sembrava proprio fuori contesto: estroverso, carino e senza alcun problema nell’allacciare nuove conoscenze, specie femminili. Conosciuto più per essere un Don Giovanni che per meriti informatici, era il figlio del professore. Anche se gli altri studenti non lo consideravano molto capace, a causa della sua vita godereccia e per il sospetto di favoritismi, data la parentela, era in realtà un buon programmatore, magari non all’altezza degli altri due, ma sapeva il fatto suo.
E infine c’era lei, Silvia. Questa scoperta, in particolare, gli fece balzare il cuore in petto. Certo non per l’oggettiva pericolosità dell’impresa in cui si stava buttando, come invece avrebbe dovuto essere, anche se l’incoscienza giovanile lo portava a sottostimarla. In realtà, in quel momento, non poteva credere alla sua buona sorte: era da tanto che avrebbe voluto fare la sua conoscenza, da quando i loro sguardi si erano incrociati in mensa inducendo in lui il desiderio di conoscerla. Purtroppo il coraggio per approcciarla gli era sempre mancato all’ultimo minuto. Ed ora era lì, nel posto dove mai avrebbe pensato di trovarla.
«Siediti qui» disse infine il professore a Romolo indicando una sedia libera, sfortunatamente lontana da Silvia.
A malincuore il ragazzo si sedette dove gli era stato indicato, ma i suoi occhi non vedevano altro che lei.
I suoi lunghi capelli scuri incorniciavano il viso allungato.
I suoi radiosi occhi verdi erano una specie di calamita a cui, con tutta la buona volontà, non riusciva a sfuggire.
Il maglioncino bianco lasciava intravedere un fisico asciutto e la forma del seno, non particolarmente prosperoso, forse una seconda.
Subito riprese una discussione che il suo arrivo sembrava avere interrotto. Romolo faceva fatica a prestare attenzione, specie quando parlava lei. La sua voce era una melodia che allietava le sue orecchie e le sue labbra miele.
Romolo non avrebbe voluto che lei si accorgesse di come lui la osservava e, quando lei si voltava dalla sua parte, distoglieva imbarazzato lo sguardo.
Seguire la discussione in queste condizioni era un’impresa, ma si sforzò di farlo, distratto anche dal cane del professore, Rex, un bellissimo pastore tedesco che si era accucciato presso di lui, attirando la sua attenzione.
Rex sembrava gradire la sua mano che lo accarezzava e Romolo trovò una nuova attrazione per la sua attenzione, troppo rivolta alla ragazza.
«Vorrei ricordare a tutti – continuò il professore – ciò che stiamo facendo, anche per chiarire meglio al nostro nuovo amico quanto già gli ho accennato. È bene ricordare chi siamo e cosa ci ha portati qui. Come ben sapete, Facebook è stata acquistata tre anni fa, nel 2025, da un gruppo piuttosto opaco, se così si può dire. Nessuno conosce il motivo per cui Zuckerberg abbia venduto la sua azienda che, oltre al popolare social network, possedeva anche altre app di successo tra cui WhatsApp. L’offerta era interessante, ma non a tal punto da non potersi rifiutare. Il consiglio di amministrazione della nuova azienda proprietaria è composto da dei tizi improbabili, che nessuno conosceva prima dell’acquisizione, e il CEO[1], l’amministratore delegato, persona tanto cortese quanto falsa, sembra essere una testa di legno[2]. Un loro dipendente, nostro simpatizzante, che ci passa delle informazioni dall’interno, su questo punto è stato chiaro: chi veramente decide è un tizio di cui nessuno conosce il nome. Quando si riferiscono a lui dicono Egli: Egli ha chiesto, Egli ha deciso… Rispetto al passato, la nuova gestione ha fatto delle modifiche grafiche e ha cambiato il nome in New-facebook. Per quel che ne sappiamo, non ci sono stati cambiamenti sostanziali nel loro sistema, che resta simile a quello di Zuckerberg, anche se il modo in cui vengono profilati[3] gli utenti potrebbe riservare delle sorprese.
Già la situazione era molto complicata ai tempi di Zuckerberg, ma oggi che New-facebook è parte imprescindibile della vita di ogni abitante del pianeta, per quanto riguarda la comunicazione, il suo potere è diventato enorme. Puoi investire milioni di euro per creare un tuo pubblico, ma New-facebook può farti perdere tutto in un attimo, se e quando vuole. Le aziende potrebbero perdere le pagine con cui comunicano con i loro clienti, dopo aver speso patrimoni in annunci sponsorizzati. I politici non potrebbero più raggiungere i loro elettori. Tu non potrai più comunicare con i tuoi amici, cercare una ragazza, a meno che tu non sia uno di quei pochi che ancora sanno corteggiare una ragazza incontrata per strada. Insomma, tutti hanno ottimi motivi per non voler subire la cancellazione dell’account e sono ricattabili. Tu, probabilmente, hai poco da dare e sei carne da macello, ma un politico voterebbe qualsiasi cosa gli venisse chiesta, pur di non bruciare la sua carriera. Conscio del pericolo, tempo fa il Gran Maestro ha raccolto alcuni gruppi in tre diverse università tra ricercatori, studenti e appassionati che hanno deciso di costruire un sistema alternativo a New-facebook di proprietà di tutti gli utenti dove non si possano commettere abusi di potere. Vogliamo recuperare quella mentalità che ha permesso a ricercatori e studenti universitari del passato di “rubare” ai militari Internet per donarla all’umanità. Nessuno possiede il web o il dns[4] eppure sono i pilastri che permettono alla rete di funzionare. Dovrà essere così anche per i social. Oggi in ben dieci università ci sono gruppi che si sono uniti a noi oltre ad alcuni “cani sciolti” che collaborano stabilmente».
Romolo ascoltava affascinato le parole del professore, aveva sentito parlare da alcuni anziani di quei tempi remoti e l’idea di rivivere quelle emozioni lo entusiasmava.
La domanda affiorò d’impulso alle sue labbra:
«Chi è il gran maestro?».
«Nessuno lo sa. – rispose il professore – Come nessun gruppo conosce i nomi di chi appartiene agli altri gruppi. L’identità degli altri è un segreto che dovrà essere mantenuto ad ogni costo. Usiamo dei nickname per comunicare tra di noi sul sistema privato, a cui a breve ti darò l’accesso».
Non convinto, Romolo chiese:
«Ma creare un sistema alternativo a New-facebook non è illegale, a che serve tutta questa segretezza?».
«Non abbiamo a che fare con gente normale – rispose il professore – la nuova proprietà usa modi abbastanza “rudi” e già diversi amici si sono defilati senza motivo apparente, riteniamo sia meglio per tutti che di noi si sappia il meno possibile».
Romolo provò un accenno di delusione: vantarsi in giro per la partecipazione a un progetto di tale portata non gli sarebbe per niente dispiaciuto. “Peccato” pensò. Quindi chiese ancora:
«Ma non sarebbe più semplice spostarci in massa su una delle diverse piattaforme che comunque si stanno creando e abbandonare New-facebook?».
«No – rispose il professore – Che senso ha abbandonare un sistema per uno uguale, ma solo molto più piccolo attirati dalle promesse di pluralismo e nessun abuso, se poi, una volta che i proprietari hanno attirato un numero interessante di utenti, questo viene venduto a New-facebook? Non è risolutivo. L’unico modo per risolvere il problema alla radice è creare un sistema completamente diverso che si basi sui nostri principi. Ovviamente non mi nascondo i problemi. Ce ne sono diversi da risolvere, come, ad esempio, creare una giustizia interna, che non si basi sull’abuso e che dia una vera possibilità di difendersi. Bisogna poi considerare il rischio della polarizzazione. In questo momento ci sono degli esclusi, che vogliono andare via; degli indifferenti, che sceglierebbero un nuovo social solo se offrisse qualcosa in più; e i garantiti, a cui vanno bene le cose come stanno, tanto pensano che non saranno toccati. Ogni nuovo social punta ad attirare quelli che si sentono esclusi, perché sono l’obiettivo più semplice e sono pronti ad abbandonare in massa, ma così si rischia di attirare solo un tipo di persone e alla fine giocoforza si creerà il social di destra, quello di sinistra, o d’altro. Si rischia di radicalizzare le posizioni mentre al contrario bisogna favorire il confronto. Se ci pensi un attimo, ti renderai conto che la nostra società è molto cambiata, un tempo le famiglie erano numerose e il trovare dall’altra parte della barricata tuo padre, tua sorella, un tuo vecchio amico ecc. ti avrebbe reso più difficile intraprendere una guerra civile ma oggi? Oggi i figli sono spesso unici e, a causa delle sempre più numerose separazioni conflittuali, hanno rapporti con un solo genitore e frequentano un solo ramo familiare, in genere solo nonni. Probabilmente s’innamoreranno sul social network a cui appartengono e allo stesso modo faranno amicizia. Di fatto ognuno apparterrà strettamente a un clan, che odierà profondamente e non avrà nessun tipo di rapporti con quelli dell’altro clan, rappresentato dall’altro social network. Per noi è evidente che, questa situazione, è potenzialmente distruttiva e vogliamo evitarla per quanto possibile. Non è facile opporsi alla deriva attuale, ma ci stiamo lavorando e la soluzione è a portata di mano».
«Avete dato un nome al sistema?» chiese Romolo.
«Non ancora – rispose il professore – al momento sono in lizza due idee. La prima è la frase latina locus ad loquendum designatus, la cui traduzione è “parlatorio”, ovviamente utilizzata nella sua forma contratta, Loquendum, e l’altra è Forum, intesa come piazza virtuale. La seconda è migliore, ma è molto abusata, per cui in molti preferirebbero Loquendum. Cerchiamo adesso di essere operativi. Silvia, mostra a Romolo la parte di codice che dovrebbe sviluppare e come dovrebbe integrarsi nel lavoro già svolto e in quello che tu stai svolgendo».
Di tutto il discorso fu l’ultima parte che entusiasmò Romolo: doveva essere il suo giorno fortunato!
La ragazza che da mesi anelava conoscere e che non aveva ancora avuto il coraggio di approcciare ora avrebbe collaborato con lui. Avrebbe potuto parlarle, sentire il suo profumo, la sua vicinanza, avrebbe potuto invitarla a cena, avrebbe potuto confessarle il suo amore…
E se non fosse stata interessata a lui?
E se non si fosse andati oltre la semplice collaborazione?
Questo pensiero spense l’euforia, riportandolo con i piedi per terra.
Nel frattempo Silvia si era avvicinata poggiando le ginocchia sulla sedia di fianco a Romolo e, protendendo il suo corpo sul tavolo, aveva iniziato a tracciare, con le belle dita lunghe e affusolate, su un foglio uno schema, spiegando cosa il suo compagno d’avventura avrebbe dovuto fare.
Ascoltarla era difficile, il suo corpo era una attrazione troppo forte e la sagoma del suo seno coperto dal maglioncino bianco attillato non permetteva di concentrarsi sulle sue parole.
Si sforzò di riprendere il controllo e iniziò a scrivere alcuni appunti su un foglio che poi ripiegò e mise in tasca.
La piccola riunione finì presto, ognuno aveva dei compiti da svolgere in modo autonomo, e si separarono.
Silvia continuò a parlare con Romolo, approfittando del fatto di avere un tratto di strada da percorrere insieme.
Doveva istruirlo sulle regole di sicurezza che si erano dati, sulle cose da non fare, sul modo per non attirare l’attenzione. Fu così che, di punto in bianco, lei lo prese per mano e lo baciò.
Mai si sarebbe aspettato un simile epilogo del loro incontro e la sorpresa fu molta, il suo cuore batteva all’impazzata e sembrava voler fuggire dal petto.
Sentì quelle labbra che aveva tanto desiderato premere leggermente sulle sue.
Era in paradiso e quello era il suo angelo.
Lentamente Silvia staccò le sue labbra da quelle del ragazzo e solo i loro nasi rimasero in contatto. Lei gli sussurrò:
«Sta’ molto attento al tipo sulla nostra destra, vicino alla colonna: è una carogna. Se scoprisse qualcosa…».
Lasciò in sospeso la frase, facendo intendere che sarebbero state rogne notevoli.
Quindi lo riprese per mano e si allontanarono sotto lo sguardo indecifrabile del tipo a cui nulla sfuggiva e a cui era bene non far sapere nulla.
«Scusami – gli disse appena furono abbastanza lontani – ma se dobbiamo svolgere del lavoro in comune è meglio far finta di stare insieme, daremo molto meno nell’occhio».
Inutile dire quanto questa frase produsse delusione nel ragazzo. Era come volare a un metro d’altezza dal pavimento e all’improvviso cadere con il sedere per terra.
Nonostante ci fosse rimasto malissimo, cercò di dissimulare la cosa, bofonchiando qualcosa del tipo “non ti preoccupare… capisco… va bene” o qualcosa di simile.
Lei lo salutò:
«Ci vediamo tra una settimana, alla solita ora, al solito posto.
E si dileguò.
Rimasto solo, Romolo cominciò a pensare a quanto accaduto, mentre lentamente si dirigeva verso casa.
Inutile cercare di concentrare il pensiero sul compito che lo aspettava, il suo cervello non ne voleva sapere di pensare ad altro che a quanto successo con la ragazza.
Era indeciso su come valutare gli eventi: da un lato aveva ricevuto un bacio insperato dalla ragazza che da mesi avrebbe voluto conoscere e dall’altro aveva ricevuto una bella secchiata d’acqua gelida, quando aveva scoperto che si era trattato semplicemente di una manovra di depistaggio nei confronti di un tizio, che doveva essere proprio una gran carogna.
Doveva scegliere: essere triste o essere felice?
Scelse di valutare positivamente gli eventi.
In fondo l’aveva conosciuta, aveva il pretesto di frequentarla per portare avanti il progetto, l’aveva baciato, quindi quantomeno schifo non le faceva.
Se la sarebbe potuta giocare e questo lo mise di buon umore.
Capitolo 2
Il Gran Maestro si mostra agli adepti
Una volta a casa, Silvia ripensò a quanto successo in quella giornata e a quel ragazzo che aveva notato tempo addietro. Avrebbe avuto piacere di conoscerlo, ma lui non l’aveva mai considerata e men che meno le aveva chiesto l’amicizia su New-facebook. Chissà perché il destino glielo aveva fatto ritrovare in quella situazione. Sicuramente il fatto di condividere una simile esperienza e gli stessi valori avevano reso Romolo ai suoi occhi ancora più interessante.
Peccato lui non si mostrasse altrettanto interessato a lei.
“In ogni caso – si disse – c’è un compito importante da terminare e tutte queste cose sono secondarie”.
Si fece una doccia veloce per togliersi di dosso la stanchezza della giornata e si mise a lavorare alla sua parte di programmazione.
Una settimana è lunga da passare, soprattutto se c’è una ragazza che vorresti tanto rivedere.
L’unica cosa che si può fare per alleviare l’ansia è concentrarsi sul compito da svolgere e distogliere l’attenzione da tutto il resto, cosa che agli uomini riesce bene, ma non in questo caso.
Ogni volta che aveva un attimo di distrazione o di stanchezza il volto di lei si affacciava prepotentemente nella sua mente, generando in lui emozioni contrastanti, un misto di languore e di ansia per il timore di non essere corrisposto.
In questo modo trascinò ben cinque giorni, ma al sesto non ce la fece più e le chiese l’amicizia su New-facebook.
Rimase in attesa di una risposta, consultando nervosamente i post dei suoi contatti che l’algoritmo[5] aveva selezionato per lui, oppure chattando oziosamente con alcuni amici, per ingannare l’attesa.
Niente! Da lei nessun cenno.
Man mano che il tempo passava l’ansia aumentava e si faceva sempre più forte la paura di aver fatto un passo falso, di aver voluto correre troppo.
Da lei nessuna novità, “Non avrà visto la richiesta… È molto impegnata, prende molto sul serio il compito che deve portare avanti” pensò nel tentativo di rassicurarsi, senza successo.
La delusione si fece largo in lui.
Era evidente purtroppo: lei non era interessata a lui e questo gli generava un profondo sconforto che gli rendeva difficile proseguire serenamente nello svolgimento del compito che gli era stato assegnato.
“Domani, comunque, ci vedremo” pensò buttando giù tutta la birra fredda nel suo bicchiere.
Alla fine la data concordata per l’incontro arrivò e lui non sapeva cosa aspettarsi da Silvia.
“Come avrà valutato la mia richiesta di amicizia? Avrà pensato di essere stata fraintesa per i suoi atteggiamenti molto amichevoli e vorrà riportare il rapporto a una situazione più formale? Ha deciso di mantenere le distanze?”.
Il momento della verità era giunto, inutile continuare a struggersi nei dubbi, doveva solo aprire quella dannata porta per avere la risposta.
Aveva il cuore in gola quando, con la mano scivolosa per il sudore, abbassò la maniglia della porta ed entrò nella stanzetta, dove venne aggredito da Silvia.
«Ma sei un idiota? Ti ho detto che dobbiamo stare attenti a quello che facciamo e tu, addirittura, mi chiedi l’amicizia su New-facebook!».
In effetti l’aveva fatta grossa: usare lo strumento del nemico per comunicare non è certo una furbata ed essere rimproverato in quel modo così violento dalla ragazza che avrebbe desiderato conquistare gli fece molto male. Ma, come si sa, la disperazione può portare anche a ribaltare la situazione negativa ed ecco il colpo di genio:
«Scusa, ma sei stata tu a dire che è meglio se facciamo finta di stare insieme! Come possiamo sostenere una cosa simile ed essere credibili se neppure abbiamo l’amicizia su New-facebook?».
Silvia rimase sconcertata, in effetti non aveva tutti i torti e, più per non dargliela vinta che per vera convinzione ribatté:
«Sì, ma le nostre comunicazioni verrebbero lette dal sistema e prima o poi ci scoprirebbero».
«Infatti – rispose Romolo – noi comunicheremo le cose importanti a voce o tramite il nostro sistema privato messo a disposizione dal guardiano della porta, mentre su New-facebook posteremo solo cuoricini e ci scambieremo le solite battute da innamorati. In questo modo saremo credibili e non attireremo l’attenzione».
«Non sarebbe meglio cancellare proprio l’applicazione almeno dai nostri cellulari? Così non potranno sapere dove andiamo, né rintracciarci!» chiese Silvia ai presenti.
«Non siate paranoici – intervenne il professore – nessuno sa di noi e creeremmo più sospetti comportandoci in maniera anormale. Ha ragione Romolo, usate New-facebook per dire le solite sciocchezze, ma per le cose importanti usate il nostro sistema segreto, di cui vi ho fornito la password di accesso. Per la vostra posizione non c’è problema: siete studenti, vi ho assegnato la tesi che farete con me. Tanto basta a giustificare la vostra presenza in università e il fatto che ci incontriamo qui. Quando la vostra posizione sarà un’informazione critica, lascerete il cellulare a casa».
«Tesi? – obiettò Davide – Ma se lavoriamo a questo progetto come potremo occuparcene?».
Con un sorrisetto ammiccante il professore rassicurò:
«Non preoccupatevi: ci sono anche altri amici che condividono il nostro progetto e alcuni miei vecchi alunni stanno lavorando alla vostra tesi. State sicuri che vi farò attribuire il massimo dei voti. Ma ora bando alle ciance: il Gran Maestro sta per collegarsi al nostro sistema privato e parlerà a tutti noi. Già vedo il Maestro 5, il Maestro 3 e i loro gruppi collegati».
In breve tempo tutti si collegarono e rimasero in attesa, fino a quando a video comparve il Gran Maestro.
La sua testa, sorprendentemente, era coperta da un elmo in acciaio scintillante, la cui forma riproduceva quella dell’elmo usato dai cavalieri templari e copriva tutto il volto tranne gli occhi, che potevano guardare attraverso due sottili aperture.
Una specie di tunica bianca copriva la parte del suo corpo non occultata alla vista dal tavolo, su cui era poggiato il suo computer portatile e alle sue spalle si stagliava un’anonima parete bianca.
«Buona giornata a tutti voi. Vedo con molto piacere che siamo giunti a buon punto. Il sistema è quasi pronto e presto lo metteremo on line, a disposizione di tutti. Fino a quel momento dovremo mantenere la massima segretezza per evitare boicottaggi».
«Ma nel momento in cui diventerà pubblico, tutta la segretezza andrà a farsi benedire – obiettò Calimero95, un adepto del Maestro 7 – Scusi la mia obiezione, ma cosa cambierebbe rispetto ad oggi?».
«Sei arrabbiato con me?» chiese il Gran Maestro al suo interlocutore.
«Assolutamente no!» rispose il ragazzo.
«Allora perché mi dai del lei? Su Internet ci si dà del tu, il lei lo si dà solo quando si vuole mantenere le distanze».
Evidentemente imbarazzato, il ragazzo cercò di scusarsi, ma con tono paterno il Gran Maestro riprese:
«Non preoccuparti, capisco la soggezione, ma stiamo sulla stessa barca e non ha senso mantenere rapporti formali tra di noi. Voglio però rispondere al tuo quesito. New-facebook al momento è potentissima, ma esistono ancora delle leggi che ci tutelano. Una volta messo on line un prodotto finito non potranno fare altro che usare mezzi legali per abbatterci e non potranno più bloccarne la realizzazione. Solo allora potremo abbandonare la segretezza».
«Maestro – chiese Ellie, un’adepta del Maestro 9 – cosa ti fa pensare che i fornitori siano disponibili a darci un posto nelle loro server farm[6]? Perché non dovrebbero fare la stessa cosa che ha fatto Amazon a Parler qualche anno fa? I precedenti, che conosciamo non fanno ben sperare di trovare dei fornitori affidabili e, se il sistema è lento, gli utenti si stancheranno presto e ci abbandoneranno».
«La tua obiezione ha senso – rispose il Gran Maestro – ma non tutti sono felici di obbedire a colui che tutti temono, al punto da non poter neppure pronunciare il suo nome. Abbiamo ottimi rapporti con una server farm che non si farà intimidire. Se da un punto di vista tecnico – continuò il Gran Maestro – il sistema è quasi pronto, dobbiamo affrontare in maniera decisa il problema della giustizia. Oggi sui social la giustizia è gestita da privati. Per capirci è come se, ad esempio, il giudice a cui vi rivolgete fosse… che so… uno sponsorizzato dalla pasta Barbarilla».
«Così nelle aule dei tribunali metterebbero la frase “La pasta è uguale per tutti”» obiettò ridendo OrlandoFurioso, un adepto del Maestro 1.
«Buona questa – approvò ridendo il Gran Maestro – si dice che il servizio giustizia di New-facebook sia simile alla Santa inquisizione. Magari! Almeno all’epoca l’accusato aveva dei diritti, pochi, ma qualcuno ne aveva. Il sistema attuale somiglia più al linciaggio: come quando un tizio accusava un altro di un crimine e questi, senza potersi difendere, veniva impiccato. Dobbiamo trovare un sistema alternativo per gestire i problemi, che purtroppo sono diffusi sui social e cioè la distinzione tra la legittima opinione e l’insulto, la calunnia, la maldicenza e le notizie false. Se dobbiamo difendere senza alcuna esitazione la prima, dobbiamo anche limitare le seconde. Oggi se un giornalista famoso dicesse “Il Presidente della Repubblica è un …”, sarebbe trattato alla stessa stregua di un mentecatto che blaterasse qualcosa di simile. Eppure, da un lato abbiamo un professionista, con decenni di esperienza e dall’altro un poveraccio che scarica la sua frustrazione, vomitando veleno. Al momento la politica non si vuole occupare del problema, sia perché ognuno pensa di sfruttare la cosa a suo vantaggio, silenziando gli altri in maniera arbitraria, sia perché la giustizia pubblica verrebbe schiantata, se dovesse occuparsi anche di questo. Il guaio è che spesso la gente sbaglia in buona fede o non si rende conto della gravità di quello che dice e, mentre un tempo certi eccessi restavano e morivano nelle discussioni da bar, dove tutti conoscevano la reale affidabilità di chi parlava e magari ridevano delle sue intemperanze, oggi è difficile capire la reale caratura di un “Rambo25” che dice delle cose pesanti. La gente crede che le frasi postate su internet siano scritte sulla sabbia e invece sono incise nella pietra. Anche l’idea di applicare ai social network la responsabilità degli editori è senza senso. L’editore ha al suo servizio fior di professionisti che sanno quel che fanno e conoscono le loro responsabilità e i loro obblighi. I social network sono frequentati da tutti. Voler controllare tutta questa gente equivale a controllare tutte le conversazioni che avvengono nel mondo reale tra le persone, coniugi compresi. Neppure la Stasi, il KGB o la Gestapo, pur essendo estremamente efficienti, sono riusciti a fare una cosa simile e forse neppure ci riuscirebbero oggi, con l’uso delle nostre tecnologie».
«Maestro – intervenne Silvia – non potremmo creare una giustizia che punti a educare piuttosto che a punire? Se designassimo delle persone autorizzate e preparate a giudicare i post pubblicati, ed essi ritenessero un post grave, perché non esprime un’opinione, ma piuttosto un insulto o peggio, allora si potrebbe obbligare il responsabile a pubbliche scuse, visibili a tutti i suoi contatti e si potrebbe pensare di attribuire un valore, che potremmo chiamare virtus , per definire l’affidabilità di una persona. Si potrebbero conservare tutte le censure collegate a quel profilo, così che ognuno possa inquadrarlo sotto l’aspetto dell’affidabilità nella sua vita on line».
«Sì, ottima idea! – disse il gran maestro – Occupatene tu! Implementa il sistema giustizia, però pensa anche a un termine in cui la “virtus” possa ripulirsi: sarebbe assurdo se degli errori fatti in adolescenza potessero danneggiarti ancora a trent’anni».
«Ma costerà un patrimonio! – esclamò Romolo – Chi ce li darà tutti questi soldi?».
«In realtà ci abbiamo già pensato – rispose il Gran Maestro – Ogni nazione avrà un server[7] che conterrà i dati degli utenti di quella nazione. Tanto per fare un esempio: se un’azienda desidera far vedere i suoi post sponsorizzati in Italia, utilizzerà un algoritmo abilitato a questo compito che eseguirà le operazioni necessarie ed emetterà fattura. L’IVA andrà al paese coinvolto, in questo caso l’Italia, mentre la restante parte del compenso verrà utilizzata sia per sostenere il sistema giustizia sia le spese per gestire il sistema in generale. Adesso però vorrei uscire da questi argomenti tecnici, che sono sicuro svilupperete al meglio, per darvi un’importante notizia: alcuni amici sono riusciti ad entrare nel sistema amministrativo di New-facebook e hanno preso documenti molto interessanti che ora sono nel dark web[8]. Questa volta il nostro innominabile non se la caverà così agevolmente come in passato».
«Abbiamo vinto allora!» esclamò con entusiasmo Thor33, un adepto del Maestro 3.
«Calma! – rispose il Gran Maestro – Vincere una battaglia non significa vincere la guerra. Inoltre, morto un New-facebook, se ne farà subito un altro. Non si può abbattere un modello che non ci piace, si può solo creare un modello migliore e metterlo in concorrenza. È per questo che noi dobbiamo continuare a sviluppare il nostro sistema social. Ah! Prima che me ne dimentichi, vi comunico il risultato della consultazione per il nome. Sarà la versione latina di parlatorio ovvero locus ad loquendum designatus contratto in Loquendum. Io avrei preferito Forum ma devo convenire con voi che si tratta di un termine abusato. Vorrei concludere il nostro incontro con le sofferenze dei templari, perché i giorni che verranno saranno difficili e pieni di incognite. Noi sappiamo di essere nel giusto, ma dovremo affrontare momenti difficili e tanta fatica.
Avrai fame di giustizia, ma ti sarà negata.
Avrai sete di sapere, ma ti mentiranno.
Avrai sonno, ma dovrai vegliare.
Avrai freddo, ma nessuno ti potrà riscaldare.
Vorrai fermarti, ma dovrai partire.
Vorrai odiare, ma dovrai amare.
Vorrai la pace, ma i demoni ti costringeranno a combatterli.
Vorrai rinunciare, ma la tua fede e il tuo coraggio te lo impediranno».
Capitolo 3
Gli eventi precipitano
La riunione con il Gran Maestro aveva esaltato i ragazzi e le incomprensioni di prima erano svanite.
«Allora, me la dai l’amicizia?» chiese Romolo.
«Sì, lo faccio ora e aggiungo anche fidanzata come stato. – rispose Silvia con un sorriso – Fallo anche tu!».
I presenti si salutarono amichevolmente, quindi ognuno prese la sua strada. Romolo e Silvia fecero il solito tratto di strada insieme, tornando a casa.
«Ti sei presa una bella rogna» le disse Romolo.
«Sì, ma è una bella rogna molto interessante da sviluppare. Il vero problema dei social è proprio il fatto che la giustizia sia più simile al linciaggio che a un qualcosa di appena accettabile. Ma, poi perché dici che mi sono presa una bella rogna? Casomai, ci siamo presi una bella rogna! Mica vorrai lasciarmi da sola?».
Romolo rispose con un sorriso dal chiaro significato affermativo.
Non ci pensava affatto a non aiutarla, non tanto per l’interesse verso il compito specifico, quanto per non perdere l’opportunità di giocarsi tutte le sue carte con lei.
Lei gli prese la mano e fecero alcuni passi, prima che un ragazzo la salutasse.
«Ciao Silvia come va?».
“Questa faccia non mi è nuova” pensò Romolo cercando di ricordare chi fosse.
«Ho visto che vai spesso dal professore di programmazione distribuita».
Ecco chi era il tizio, era quello che la settimana prima Silvia gli aveva indicato come persona da cui guardarsi.
«Sì, gli ho chiesto la tesi, è una persona gentile e aiuta molto gli studenti.» rispose Silvia con grande sicurezza.
«Ma non è presto? Hai ancora diversi esami da fare…» obiettò l’interlocutore.
«Sì, ma voglio portare avanti una tesi di ricerca un po’ complessa e vorrei partire in anticipo, dedicandole un po’ di tempo ogni mese piuttosto che ammazzarmi di lavoro all’ultimo minuto».
Sia per uscire da questo interrogatorio sia perché si rese conto di doverlo fare per essere credibile, la ragazza cambiò argomento.
«Ti presento il mio ragazzo, lui è Romolo».
Il tizio porse la mano, ma Romolo di rimando porse il suo gomito, come si usava fare ai tempi della grande epidemia del 2020.
I due si salutarono con i gomiti.
«Scusami, Agis, – che era il diminutivo di Agistulfo – ma dobbiamo andare… Ci vediamo!».
Trascinando per mano Romolo si allontanò.
«Non avevo notato che tu fossi patofobo» disse lei quando furono abbastanza lontani.
«Non sono i virus a farmi paura – rispose lui – ma non amo sporcarmi le mani con il letame…».
«Esagerato!» rise lei.
Erano arrivati al punto dove le loro strade si separavano e lui, facendo forza contro sé stesso, azzardò:
«Ci sono ancora diverse ore utili. Potremmo andare a casa tua e iniziare a buttare giù qualche idea da sviluppare, in modo da portarci avanti con il lavoro».
«Ottima idea!» approvò lei.
La casa si trovava in un quartiere nei pressi dell’Università, dove molti appartamenti erano stati destinati ad ospitare studenti fuori sede. Silvia era una di loro.
Arrivarono nel grazioso monolocale, piccolo ma arredato in modo da sfruttare al meglio tutti gli spazi. L’appartamento era piuttosto tipico della zona e alla portata della sua famiglia.
La porta d’ingresso immetteva direttamente in un piccolo soggiorno con angolo cottura.
Un tavolo per quattro persone, coperto per metà da libri e fogli sparsi, era al centro dell’ambiente, mentre un divano era posizionato di lato.
Una porta permetteva l’accesso alla camera che riusciva a malapena a contenere un letto alla francese, un armadio a quattro ante e una cassettiera.
Sul pavimento, sul lato dove probabilmente lei dormiva, erano accatastati diversi libri, un block notes per appunti e alcuni fogli scritti a mano.
Un’altra porta permetteva l’accesso al bagno, anche questo non molto ampio, ma fornito di tutti i pezzi necessari, box doccia compreso.
«Scusa il disordine – disse lei – non mi aspettavo visite…».
Come se a lui fregasse qualcosa dell’ordine o meno della casa.
E comunque pensò: “Dovresti vedere casa mia!”.
La ragazza aprì il frigorifero, tirò fuori delle bibite e da uno scomparto prese qualcosa da sgranocchiare.
Da perfetta padrona di casa approntò un piccolo rinfresco di benvenuto.
Lui si sedette al tavolo. Quell’abitazione gli piaceva, ma forse a rendere gradevole il posto più che l’arredamento era la padrona di casa.
Bevvero le loro bibite. Dopo qualche scambio di frasi di cortesia Silvia riorganizzò il materiale sul tavolo, facendo spazio per il collega.
Prese dei fogli e cominciò a tracciare degli schemi.
Lui la osservava rapito, il lavoro da svolgere era l’ultimo dei suoi pensieri, e quasi senza accorgersene sussurrò un “Ti amo”. Era come se la sua voce avesse avuto vita propria e non avesse alcuna voglia di eseguire ciò che la parte razionale del suo cervello le imponeva.
Una specie di ribellione dell’istinto sulla ragione.
«Scusa, non ho capito, hai detto qualcosa?» chiese lei, voltandosi verso di lui.
«No, niente di importante…» rispose lui imbarazzatissimo.
«C’è un problema che va risolto – disse lei – I troll[9] e i malintenzionati hanno la brutta abitudine di creare con Photoshop dei falsi post[10] di politici, vip o comunque persone che prendono di mira e li spacciano poi per veri, condividendoli e facendoli condividere da gente in buona fede. Tu mi dirai: basta andare sulla bacheca del soggetto destinatario di queste attenzioni non gradite e verificare se quel post è presente o meno. Purtroppo, però si sa che i post controproducenti vengono cancellati. Il non trovarli invece di creare dei dubbi diventa quasi una conferma».
«Questa non è difficile – replicò lui – Basta associare a ogni post un codice unico, ben visibile. Inserendo questo codice in una maschera di ricerca sarà mostrato il post associato e, quindi, ognuno potrà verificare facilmente se si tratta di un falso o piuttosto di un post reale. I post non devono essere cancellati definitivamente, ma resi invisibili, tranne che per la ricerca per codice».
«Buona idea! – approvò lei – Però, se i post non possono essere realmente cancellati, allora un utente perde la possibilità di ripensamento in caso di errore o comunque di frasi di cui si pente. Non credo sia giusto impedire di poter rimediare a una leggerezza».
«Possiamo dare un periodo di latenza, la cui durata la decide l’utente stesso in fase di impostazione. Così, ad esempio, dopo mezz’ora dall’invio diventa effettivamente pubblico il post e solo in quella mezz’ora lui lo potrà cancellare senza problemi».
«E chi ti dice che basti mezz’ora? Magari te ne rendi conto dopo un giorno che hai fatto una sciocchezza – obiettò lei – La tua idea però non è sbagliata. Possiamo dare la possibilità a ogni utente di indicare alcuni amici fidati che potranno vedere i suoi post immediatamente, in modo da avvisarlo se evidenziano delle problematiche. L’utente potrà far tesoro dei suggerimenti dei suoi amici e cancellare quanto pubblicato entro la mezz’ora di latenza. Per i politici sarà utilissimo questo sistema».
Il lavoro era stato proficuo. Vedersi a casa di lei era stata un’ottima scelta e i due scoprirono di avere una buona intesa.
Le idee fluivano a ritmo continuo, anche se con diverse interruzioni durante le quali si raccontavano qualche aneddoto divertente o qualcosa di sé.
Rapito dal piacere della sua compagnia, Romolo non si accorse del tempo, che inesorabilmente passava, finché un’occhiata all’orologio non lo riportò alla realtà dell’ora tarda.
«Si è fatto tardi: meglio che vada» disse di malavoglia.
Silvia lanciò un’occhiata all’orologio da parete e anche lei si rese conto di quanto tempo fosse sorprendentemente trascorso.
Anche se non le faceva piacere, doveva salutarlo, altrimenti sarebbe stato per lui problematico tornare a casa senza poter contare sui mezzi pubblici.
Lo accompagnò alla porta e lui la salutò con un bacio sulle guance.
Fu allora che, inspiegabilmente, come sotto l’influsso di un raptus, lei lo spinse contro la parete vicina e lo baciò con passione.
Chissà, forse quel “Ti amo” sfuggito era stato recepito da quella parte di lei chiamata inconscio.
Doveva essere proprio così. Non ne era consapevole, ma dentro di lei quel “Ti amo” sussurrato appena era risuonato potente.
Sorpreso, ma felice, e ancora incredulo per come si erano messe le cose, lui restituì il bacio appassionato e la strinse con forza.
Ormai di andare non se ne parlava più e rimasero così, serrati in quell’abbraccio, con le loro bocche che si cercavano avidamente.
La passione improvvisa e intensa li aveva ormai completamente avvolti come una calda coperta durante una notte d’inverno e aveva preso pieno possesso dei loro corpi e delle loro menti, rendendo irrilevante la scomodità della posizione.
Lei lo prese per mano e lo condusse sul letto dove poterono stare più comodi. Furono baci, furono carezze, furono dolci parole mentre i loro corpi avvinghiati sembravano volessero lottare in una battaglia che nessuno dei due voleva vincere.
Lei si liberò dall’abbraccio del ragazzo, si mise in ginocchio sul letto e si tolse il maglioncino rivelando la sua pelle delicata.
Anche il reggiseno volò via, offrendo alla vista di lui ciò che celava.
La mano destra di Romolo si posò delicatamente sul seno sinistro di lei che tronfio faceva bella mostra di sé come se fosse consapevole della forza dei suoi vent’anni o poco più.
La pelle delicata dava una sensazione piacevole al tatto della sua mano e il capezzolo inturgidito dal desiderio invitava la bocca del giovane ai baci e questi non mancarono.
Anche lui si mise in ginocchio, si tolse il maglione scoprendo il torace tonico, anche se non molto muscoloso, e la abbracciò, baciandole più e più volte il collo sottile.
Lei volse la testa all’insù, in modo da offrire quanta più superficie possibile del collo alla sua bocca godendosi a occhi chiusi le sensazioni offerte dalle labbra di lui sulla pelle.
Si lasciarono cadere stesi sul letto e la mano destra di lui corse al bottone dei jeans di lei. Una volta sganciato quel bottone fu il turno della cerniera. Lei senza indugio, ma senza fretta, si sfilò i pantaloni.
La mano destra del ragazzo riprese a correre lungo la gamba sinistra di lei, partendo dalla coscia per poi infilarsi sotto gli slip fino a raggiungere la natica mentre l’altra mano era distesa dietro il suo collo e loro bocche si cercavano mai sazie.
Senza rendersene neppure conto si ritrovarono completamente nudi sotto le lenzuola.
Lei prese a baciare il suo petto, scendendo sempre più giù, mentre lui si godeva la piacevole sensazione delle labbra di lei sulla sua pelle.
Anche lui iniziò a baciarla partendo dalle gambe per poi salire sempre più su…
Ad un certo punto lei lo tirò a sé e lo baciò appassionatamente, mentre i loro bacini aderivano.
Avvinghiati strettamente lui fu in lei, mentre le gambe di lei serravano i suoi fianchi. Di due divennero uno.
Le loro bocche non potevano forzarsi a perdere il contatto.
Le labbra di Silvia mordicchiarono dolcemente il labbro inferiore di lui, per poi serrarsi contro le sue labbra, mentre i loro corpi fremevano scossi dalla passione.
Stanchi, ma appagati, si fermarono a riprendere fiato e lui poggiò la sua testa sul ventre della ragazza, posando a tratti un bacio all’altezza dell’ombelico, mentre lei con la mano destra gli carezzava dolcemente la testa.
Rimasero un po’ di tempo in quella posizione in silenzio.
Un silenzio diverso per i due giovani.
Mentre per lui era una beata contemplazione di quel momento di benessere, per lei era tutto un andirivieni di pensieri.
A un certo punto Silvia ruppe quella quiete dicendo:
«Secondo me, svilupperemmo meglio la nostra parte del progetto se potessimo lavorarci ogni momento possibile. Se venissi a stare qui qualche giorno, lavoreremmo meglio».
Era questo un modo molto diplomatico per dire quello che in realtà avrebbe voluto dire, ovvero “Vorrei tanto che stessimo insieme quanto più tempo possibile per viverci appieno questa passione e nel frattempo dedicarci al lavoro, dove insieme diamo il meglio di noi, senza che questo assorba tutto il tempo che passiamo insieme. Potremmo risparmiare il tempo degli spostamenti e i tempi morti, dedicandoli tutti a noi”.
Lui rispose con un bacio di conferma sulle sue labbra e alla fine il sonno prese il sopravvento.
Inaspettatamente bussarono alla porta quella mattina.
Lui si alzò dal letto, giusto il tempo di indossare qualcosa per rendersi presentabile e andò verso la porta d’ingresso.
«Chi è?» chiese.
«C’è un pacco da consegnare, occorre una firma» rispose una voce maschile dall’altro lato dell’uscio.
L’uomo aprì e in un attimo fu spinto da parte con violenza da un individuo col fisico possente che entrò insieme ad altri tre.
Senza alcuna parola gli sferrò un pugno che lo mandò a terra, mentre gli altri iniziarono a perquisire l’appartamento, senza alcun riguardo.
«Chi siete? Che volete?» chiese tremante l’aggredito.
«Chi ti paga?» rispose di rimando l’energumeno.
«Ma di che parlate?» si lamentò il malcapitato, che cominciava a sospettare la ragione di tanta violenza.
«Non fare il furbo con noi, sai bene di cosa parlo» minacciò l’altro di rimando.
«Non so nulla! – ribadì l’aggredito – Chi siete? Che volete?».
«Sappiamo tutto, hai preso alcuni documenti importanti dalla tua sede di lavoro nella direzione di New-facebook e li hai dati a chi non dovevi. Per chi lavori?» insisté l’energumeno, facendosi più vicino e minaccioso.
«Voi siete pazzi! Io non ho fatto nulla!» protestò la vittima, ricevendo come risposta un calcio su un fianco, che gli mozzò il fiato.
«Alfred! – disse uno dei criminali – Ho trovato qualcosa».
In una scatola, nascosta sotto altri oggetti, erano conservati dei fogli con delle scritte.
Alfred svuotò il contenuto della scatola sul tavolo nella stanza e iniziò a leggere velocemente quello che aveva trovato.
Foglio dopo foglio passò in rassegna tutto il materiale e alla fine, con palese delusione, comunicò agli altri che non si trattava dei documenti cercati. Continuarono a perquisire l’appartamento.
Il povero dipendente di New-facebook, probabilmente ormai ex, guardava i quattro che buttavano per aria ogni cosa senza né parlare né muoversi, appiattito a terra senza fiatare.
«Richard – ordinò il capo – vai al computer di questo verme!».
Prontamente l’uomo si sedette alla postazione e accese il pc.
«Dammi i dati di accesso» sibilò all’indirizzo del poveraccio steso a terra.
«Admin, 12–10–89» rispose questi senza sognarsi di opporsi.
«La tua data di nascita? Neanche una password decente ti sei scelta!» osservò con disprezzo Richard, mentre iniziava a trafficare con il programma di posta elettronica.
Per pigrizia molti permettono al pc di conservare le password di accesso a programmi e servizi e ciò talvolta non è una buona idea, questo era uno di quei casi.
Richard cercò tra le mail inviate nell’ultima settimana, quella in cui era stato trafugato materiale compromettente dalla sede centrale di New-facebook, ma non trovò nulla di interessante. Controllò anche nel cestino, nella speranza che la loro vittima, per dimenticanza, non lo avesse svuotato, lasciando ancora recuperabili dei file[11] compromettenti. Sfortunatamente per loro non trovò nulla.
«Alfred, – disse Richard – non vedo niente di utile a una prima occhiata, devo portarlo in ufficio per recuperare i file cancellati e controllare tutto il contenuto file per file. Mi ci vuole del tempo.».
Anche gli altri non avevano trovato nulla nella loro perquisizione e questo non piacque ad Alfred che riprese ad accanirsi sull’uomo per terra con colpi dolorosi ma non mortali, alternando imprecazioni e minacce.
Ad un certo punto lo prese per la giacca del pigiama, lo sollevò da terra e portò la faccia del poveretto all’altezza della sua bocca per urlargli contro, lasciandolo infine cadere pesantemente a terra e passare a colpirlo con una serie di calci.
Niente! Ancora non cedeva, sembrava sopportare i colpi e non pronunciava alcuna parola. Lo riprese per la giacca del pigiama e lo sollevò per ricominciare da capo quando, ormai prostrato, il disgraziato comunicò ansimando a fatica di voler parlare. Non che si illudesse di salvare la sua vita, ma almeno desiderava farla finita in fretta.
«Bene! Non ho voglia di perdere tempo, quindi, dimmi a chi li hai passati!». Così dicendo, lo lasciò cadere.
«Non lo so, credetemi! – implorò l’uomo – Sono stato contattato da un gruppo che vuole combattere New-facebook e la sua nuova dirigenza».
«Vuoi farmi credere che metti la tua vita a rischio per seguire uno sconosciuto? E quanto ti hanno pagato?».
Facendo appello alle poche forze rimaste, l’interrogato cercò di sollevarsi un po’ da terra per dire:
«Non potete capire, non è una questione di soldi… volevo… ho visto cosa avete fatto… qualcuno deve fermare questo…».
«Non mi convinci – disse Alfred – ora vieni con noi, poi vedremo! – quindi rivolto agli altri – Prendete il computer e andiamo!».
Costrinse la sua vittima a mettere un soprabito e lo trascinò fuori, dove li aspettava un complice su un furgoncino.
L’uomo e i quattro criminali salirono sul mezzo che partì verso una destinazione a lui sconosciuta.
Capitolo 4
Giorni felici
Romolo bussò alla porta di Silvia che aprì, raggiante.
Ora avrebbero potuto lavorare insieme, senza problemi di tempo, alla loro parte di progetto… e pure fare altro.
Si erano accordati per una sistemazione temporanea, solo fino a quando il nuovo social, Loquendum, non fosse andato on line, ma nessuno dei due credeva veramente a quella piccola bugia.
Erano entrambi ben coscienti nel loro intimo che non si trattasse per niente di qualcosa di temporaneo, ma l’inizio di un sodalizio privato e forse anche professionale.
Romolo entrò trascinando una valigia e qualche busta in cui aveva infilato alla rinfusa tutto ciò che poteva, il necessario per trascorrere comodamente questo periodo nell’abitazione di lei.
La baciò dolcemente e si diresse nella piccola camera da letto per sistemare nel migliore dei modi la sua roba.
Silvia gli concesse l’uso di un piccolo scomparto del suo armadio e questo sorprese piacevolmente Romolo, convinto che la sua roba sarebbe rimasta stabilmente stipata nella valigia.
Giusto il tempo di una rapida doccia, per togliersi di dosso il sudore e lo stress di un piccolo viaggio sui mezzi pubblici con quel bagaglio ingombrante, e poi raggiunse la sua ragazza al tavolo, dove lei aveva apparecchiato per il pranzo.
Anche se non amava particolarmente cucinare, quella mattina Silvia aveva cercato di dare il meglio di sé, preparando un sugo succulento con cui condire la pasta. Per completare il pranzo, aveva poi risolto spacciando come opera propria una pietanza surgelata a cui aveva aggiunto qualche ingrediente durante la cottura.