Incipit del romanzo: Loquendum

«Vi prego perdonatemi! Ho fatto una cazzata, lo so, e ora è tardi per rimediare».

Era prostrato l’uomo che pronunciava queste parole nella piccola stanza illuminata, sia pur malamente, dalla luce proveniente da una piccola finestra alle spalle di chi questa implorazione ascoltava.
Nessuna risposta, nessun cenno, nessuna reazione a quella supplica sottolinearono la gravità della colpa per la quale si chiedeva perdono.
L’uomo non riusciva a distinguere i tratti di chi aveva di fronte: la luce della finestra colpiva diretta i suoi occhi, smorzandone la capacità visiva.
Ma poteva intuirne l’espressione: fredda e tagliente come quella luce. Appunto.

L’atmosfera pesante, cupa, rendeva ancora più penoso lo stato d’animo dell’uomo che per rompere il silenzio continuò: «Non volevo farvi torto! Mi avevano convinto che quel provvedimento fosse giusto e non ho valutato le conseguenze! Sono stato un idiota! Ho assolutamente  bisogno del vostro perdono! Non distruggete la mia carriera!».

Con studiata lentezza colui a cui tanta deferenza era rivolta iniziò a parlare.
«Avevi avuto istruzioni precise. Sapevi cosa ci si aspettava da te eppure, hai fatto di testa tua. Il provvedimento che hai votato non lo volevamo e tu lo sapevi!».
A quelle parole il poveretto trasalì e spinto dalla disperazione rantolò:
«Vi prego! Non posso perdere il contatto con i miei elettori! Non cancellatemi! Vi assicuro che non vi deluderò più».

«Non lo meriti – rispose – tuttavia nella nostra infinita generosità, ti concediamo un’altra possibilità. Il tuo account a New-facebook sarà riattivato domani, ora puoi andare. Ricorda: un altro passo falso e sei finito!».

Il politico aveva scongiurato la perdita dell’interazione coi suoi elettori, ma si sentiva come chi è stato in una centrifuga, spremuto, annientato, tuttavia non aveva scelta e doveva essere grato a chi gli accordava un’ultima possibilità.
Pensava che la sua brillante carriera non fosse finita e prometteva ancora di farlo salire in alto, sempre più in alto. In strada si rese conto di essere sudato. Un sudore acido, maleodorante. Strinse i pugni nelle tasche e sibilò tra i denti: “Maledetto Zuckerberg! Dovevi proprio vendere Facebook a questa feccia!”.