La mente frugata
Per contratto uno scrittore deve consegnare un nuovo romanzo al suo editore, ma è a corto di idee. Decide di risolvere questo problema accettando di provare una nuova apparecchiatura composta da un normale scanner cerebrale collegato ad un sistema di intelligenza artificiale. Questo sistema legge i suoi pensieri e scandaglia la sua mente alla ricerca di elementi utili che utilizza per costruire una storia fantasy dove narra le avventure di un cavaliere innamorato della figlia del re e delle prove che questo dovrà superare per conquistarla e salvare il regno dall’aggressione di nemici feroci.
In questa opera ci sono due storie diverse che si intrecciano in un circolo vizioso dove l’intelligenza artificiale scova nell’inconscio dello scrittore degli elementi utili che vanno a condizionare l’evoluzione della storia fantasy, ma nel momento in cui lo scrittore legge cosa il sistema ha scritto ne prende coscienza e modifica la sua vita. Questo circolo vizioso si sviluppa in maniera innocua all’inizio per poi diventare sempre più incontrollabile.
Incipit
«Cos’è l’arte?»
Si chiedeva guardando l’immagine creata da un sistema di intelligenza artificiale che aveva vinto un importante premio e aveva gettato il mondo degli artisti nello sconforto.
Federico Bonadies era un affermato autore vittima, in quel periodo, del blocco dello scrittore. Il suo romanzo non riusciva ad andare avanti, i suoi lettori erano impazienti e l’editore non sapeva più che minaccia utilizzare contro di lui. Quel maledetto foglio restava bianco.
Davanti a lui c’era la soluzione al suo problema, doveva solo indossare quella misteriosa apparecchiatura. Non era difficile farlo eppure esitava. Sapeva che stava varcando un limite importante e che non avrebbe più avuto la possibilità di tornare indietro.
«Non sto barando!» Si disse per autoassolversi.
«In fondo questo aggeggio non fa altro che leggere i miei pensieri e mandare avanti la storia. Fa quello che normalmente faccio io quando scrivo i miei romanzi: li formo prima nel mio cervello, capitolo dopo capitolo, e poi li riporto sul foglio.»
Era inquieto, le sue mani tremavano mentre prendevano quel casco pieno di elettrodi da mettere sulla testa.
Non poteva lasciarsi condizionare da stupidi scrupoli o dalla dedizione a un’idea di arte ormai desueta. Aveva degli obblighi contrattuali … non poteva deludere i suoi lettori … c’erano le bollette da pagare…
Con inaspettata e improvvisa risoluzione calò il casco sulla sua testa e premette l’interruttore dando energia a quel sistema che giaceva addormentato sul tavolo.
Un viaggio verso l’ignoto era iniziato.
Capitolo 1
Una telefonata aveva scosso Federico Bonadies e lo aveva allontanato da quel foglio vuoto da cui non riusciva a staccarsi. Il suo amico d’infanzia Pietro Bellaria gli aveva chiesto di raggiungerlo al più presto a casa sua, aveva delle importanti novità riguardo al suo blocco dello scrittore.
Federico gli aveva confidato alcuni giorni prima le sue difficoltà, si trattava pur sempre del suo migliore amico, testimone alle sue nozze e punto di riferimento fin dall’infanzia. Con lui aveva condiviso tanti momenti belli, ma anche momenti difficili, si erano sempre dati supporto, almeno morale.
Una simile premura era foriera di importanti novità e il fatto che fosse reticente a parlarne, se non di persona, indicava che la soluzione ai suoi problemi fosse quantomeno controversa e meritevole di un approfondimento riservato.
Giusto il tempo strettamente necessario per raggiungere casa dell’amico e adempiere ai saluti di rito e a qualche frase di circostanza che si ritrovò seduto sul comodo divano nel salotto con in mano un bicchiere di ottimo whisky invecchiato.
«Veniamo subito al dunque.» Iniziò Pietro, consapevole di poter arrivare subito al nocciolo della questione, dato il rapporto che aveva con l’interlocutore.
«Ci conosciamo da tanto tempo e non serve girarci attorno anche se la questione è oggettivamente delicata. L’altro giorno, quando mi hai confidato il tuo problema, mi sono ricordato di un progetto su cui la mia azienda lavora da tempo e il cui prototipo è in fase di test. Ho fatto inserire il tuo nome tra coloro che useranno l’apparecchio che ti mostrerò, ma non sei obbligato, come ti ho fatto inserire posso farti escludere, quindi, valuta bene.»
«Da quello che dici, sembra che tu mi voglia proporre di trasportare droga da un continente all’altro.» Rispose in modo scherzoso Federico.
«Figurati! Non si tratta di una cosa così estrema, ma è una questione pur sempre delicata. Vedi l’apparecchio sul tavolino? Si tratta di uno scanner cerebrale, gestito da un sistema di intelligenza artificiale, il cui scopo è leggere la mente di chi lo indossa.
Nel tuo caso è stato adattato per aiutarti a scrivere il romanzo, trasformando le tue idee in capitoli.»
«Sembra interessante!» Ora Federico si era fatto serio «ma perché la tua azienda avrebbe investito tanti soldi per permettere agli scrittori di portare avanti le loro opere?»
«In realtà non abbiamo minimamente pensato agli scrittori, l’utilità è un’altra. Questa apparecchiatura permette all’utente di entrare in contatto con il suo inconscio e trarne giovamento.»
«Un progetto ambizioso. Una specie di psicologo on line?»
«Sì, ma questo è un possibile utilizzo futuro, oggi ci limitiamo a fornire all’utente la possibilità di mettersi in contatto con quello che viene definito intuito e che altro non è se non una funzione inconscia.
Pensa al caso più semplice, spesso noi sappiamo qual è la cosa giusta da fare, ce lo dice una vocina da dentro, ma ci lasciamo condizionare dall’esterno, da persone a noi vicine che hanno un interesse, anche legittimo, affinché noi ci comportiamo in un modo piuttosto che un altro. Secondo i nostri ricercatori dare ascolto a quella vocina interna può sia aumentare la felicità di ognuno sia aiutarlo a evitare molti pericoli: pensiamo alle truffe, ad esempio.»
«Non capisco come questo sistema possa aiutare a evitare i pericoli o le truffe. Perché l’intuito dovrebbe essere superiore ad un ragionamento ponderato che valuti i pro e i contro di quello che si vuole fare?»
«Pensaci! Quante volte il desiderio di trovare l’amore ha spinto la gente a sottovalutare dei chiari segnali di incompatibilità oppure il desiderio di diventare ricchi ha portato a trascurare quel campanellino di allarme facendo cadere in tranelli spesso molto evidenti perfino persone molto avvedute?»
«In effetti, hai ragione tu: può aiutare a evitare le truffe.»
«Non vedere le cose solo al negativo, pensa anche in positivo. Lo psicologo Wiseman, che ha studiato il fattore fortuna, ha osservato che chi si ritiene fortunato dice di seguire molto l’intuito mentre chi si ritiene sfortunato non gli dà ascolto.»
«Potrebbe anche essere il contrario, il fortunato crede che sia l’intuito ad aiutarlo mentre invece è stata la fortuna a farlo.»
Federico aveva avanzato quest’ultima ipotesi sorridendo. Nutriva seri dubbi sulle tante ipotesi degli studiosi della psiche.
«Se noi credessimo all’esistenza di una divinità chiamata fortuna che si diverte a condizionare la vita degli esseri umani, potresti avere ragione. Io però non ci credo e penso che l’intuito sia alla base di quello che chiamiamo fortuna. Senza accorgercene, il nostro cervello raccoglie molte informazioni che memorizza. In qualsiasi situazione ci troviamo il nostro cervello cercherà analogie con esperienze già vissute. Quello che chiamiamo intuito o presentimento può essere semplicemente il ricordo inconsapevole di situazioni simili in cui ci siamo imbattuti. Una parte di quello che chiamiamo inconscio potrebbe essere semplicemente questo meccanismo. Ho paura del fuoco perché da bambino ho fatto un’esperienza negativa di cui ho perso il ricordo consapevole, ma che è inciso nella memoria profonda.»
«Affascinante! Io però credo che l’intuito non sia sempre una cosa buona da seguire, io preferisco affidarmi ad una seria analisi razionale dei fatti.»
«Neppure Wiseman invita a seguire acriticamente le intuizioni, suggerisce solo di prenderle in seria considerazione.»
«A questo punto diventano sensate anche le premonizioni, si tratterebbe di un avviso del nostro cervello che nota come la situazione attuale si avvicini a delle esperienze del passato.»
«Non farmi domande a cui non so rispondere, io sono solo un dirigente e ti riferisco quello che mi hanno detto, se vuoi posso farti parlare con i ricercatori, loro ti sapranno spiegare meglio di cosa si tratta. Comunque alle premonizioni stiamo dedicando molta attenzione e non escludiamo che il sistema in futuro non possa occuparsi anche di questo.»
«La discussione è interessante, ma io ho un problema concreto, lo sai … Cosa puoi dirmi in proposito?» Chiese Federico vedendo l’amico divagare.
«Per prima cosa gli obblighi: il sistema è in fase di sperimentazione e, quindi, dovrai compilare un diario giornaliero sia con informazioni sul tuo stato psicologico sia con eventuali problemi nel sistema che dovessero verificarsi. Inoltre sarai vincolato alla massima segretezza almeno fino a quando non si arriverà al brevetto internazionale.»
«Mi sembrano richieste del tutto sensate, te le firmo senza problemi.»
«In poche parole, vedi quel casco? È pieno di elettrodi, nel momento in cui lo indossi il sistema capterà ogni minima attività del tuo cervello e a seconda dell’area coinvolta e del modo in cui si attiva elaborerà il senso di quello a cui stai pensando e si comporterà in base a quello che avrà captato. Nel tuo caso leggerà le tue idee sul romanzo e, facendo riferimento alla sterminata letteratura con cui l’ho fatto addestrare, scriverà per te i vari capitoli.»
«Bellissimo e molto utile, ma tu sai che è vietato?» Federico sembrava deluso. «Dopo che i sistemi di intelligenza artificiale hanno cominciato a battere gli artisti nei concorsi si è deciso che le opere generate da sistemi artificiali non possano partecipare ai concorsi artistici e che ogni loro lavoro deve essere identificato in modo chiaro con un avviso a caratteri cubitali.»
«Tecnicamente il nostro sistema non ricade nei divieti, in quanto scrive il romanzo partendo dai tuoi pensieri, quindi l’atto creativo è solo il tuo.»
«Temo che la cosa non sia così scontata, sono sicuro che i vari garanti avranno qualcosa da obiettare.»
«In ogni caso, se non sei tu a rivelarlo, nessuno lo scoprirà mai. Ho fatto inserire nel sistema tutte le tue opere passate, ora è in grado di imitare perfettamente il tuo stile, al massimo potrebbero accusarti di non evolverti e di restare sempre uguale, nonostante il passare degli anni. Allora, che vuoi fare?» Tagliò corto Pietro.
«Non ho molta scelta, le bollette incombono e non riuscirò a mantenere ancora per molto il nostro tenore di vita senza una dannata nuova opera. Dimmi dove devo firmare e dammi la macchina.»
Capitolo 2
Giunto a casa, una villetta con giardino in cui viveva con la moglie, si recò nel suo studio, ricavato nella mansarda, dove si isolava per creare i suoi romanzi. Indossò, non senza esitazione e timore, quello strano casco con tanti elettrodi e premette l’interruttore.
Sul piccolo schermo comparve un viso dalle fattezze umane. I costruttori avevano pensato di umanizzare quel sistema per rendere più empatica la comunicazione con gli utenti.
«Cosa devo fare adesso?» Chiese al sistema.
«Nulla! Lascia libera la tua mente di andare dove vuole. La creatività è situata in una rete di neuroni chiamata default mode network che raggiunge la sua massima attività quando il cervello è a riposo. Quando ti concentri su qualcosa metti a riposo quest’area il cui scopo è far collaborare le varie aree del cervello creando idee innovative. Imita Leopardi: “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Lasciati andare e fatti trasportare dalla corrente.»
«Ma l’ozio non era il padre dei vizi?» Rispose scherzosamente Federico, anche per cercare di dare sollievo con l’ironia alla sua tensione.
«“Non mi sembra un uomo libero quello che non ozia di tanto in tanto.” Diceva Cicerone. Non a caso i romani chiamavano “Otium Litterarum” proprio quel tempo dedicato alla contemplazione, alla riflessione e alle attività culturali. In questa fase devo prima di tutto capire che tipo di romanzo è il caso di scrivere. Poi, una volta capito cosa scrivere, dovrai concentrarti su ciò che avverrà nel capitolo su cui stiamo lavorando, ma di questo ne parleremo prossimamente.»
Ci mise un po’ di tempo a rilassarsi, ma alla fine la sua mente cominciò a perdersi contemplando il panorama che faceva capolino dalla finestra. Nulla di speciale, tante villette con giardino di un quartiere situato nell’hinterland di una grande città. Osservava senza in realtà vedere davvero i vicini indaffarati nelle loro attività. Gli operai al lavoro in strada. Un tizio che si spostava in bicicletta. Un’ambulanza che passava a sirene spente…
Un avviso lo riportò bruscamente alla realtà. Quello strano apparecchio lo avvisava di aver terminato le prime pagine del romanzo fantasy a cui doveva lavorare.
Iniziò a leggere.
~~~~~~
Il giovane cavaliere, ormai diciassettenne, entrò nella piazza d’armi del castello per una sessione di allenamento. Nubi nere si addensavano sul piccolo regno di Helios, presto uno strano popolo mostruosamente selvaggio e crudele avrebbe potuto oltrepassarne i confini dopo aver distrutto e sottomesso molti regni vicini. Tutti gli uomini validi erano stati allertati a cominciare da chi, come lui, apparteneva per nascita alla casta militare.
Lo sguardo del ragazzo si perse verso una finestra dei piani superiori dove affacciata c’era una bella fanciulla dai lunghi capelli rossi e i lineamenti del viso delicati. Il cuore gli balzò in petto alla vista di lei. Ormai viveva solo per quel giornaliero fugace incontro di sguardi, unico possibile contatto. Dopo aver ricambiato lo sguardo, lei si ritirò nelle sue stanze lasciando in lui la profonda tristezza per quell’amore impossibile.
Prospero, il suo miglior amico, gli si avvicinò rimproverandolo:
«Tra tutte le donne del regno, proprio per lei dovevi perdere la testa?»
«Se avessi potuto scegliere sarei stato certamente più accorto, ma non ci è dato decidere. Un destino ci lega gli uni agli altri e a me è toccata questa catena.»
«Lo sai, maledizione! Ginevra, la figlia del re, deve sposare un altro regnante e non un cavaliere che ancora non ha visto un campo di battaglia.»
«A quanto dicono lo vedrò presto.»
«Ci sono trattative matrimoniali in corso con il vecchio Re di Lacedoniaris, il nostro re ha bisogno di costruire solide alleanze. Al momento c’è uno stallo, ma troveranno sicuramente un accordo.»
«Se la battaglia è così vicina come dicono, magari troverò finalmente pace.»
«Tu sei pazzo! Ormai temo che in un modo o nell’altro ti metterai nei guai. L’unica che può aiutarti è la fata del bosco sui monti ad est. Se il tuo cuore è puro e il tuo sentimento sincero lei non potrà non venire in tuo soccorso.»
«Volete un tè? Dei biscottini? Due sedie per continuare a discutere comodamente?» Urlò il severo maestro d’arme vedendo i due ragazzi perdere tempo.
Umiliati per quel rimprovero pubblico i due amici presero due spade da addestramento dalla lama arrotondata e iniziarono a duellare. Tra un affondo e una parata senza grande convinzione continuarono a discutere di quanto stava loro maggiormente a cuore:
«Dove si trova questa fata?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
«Chi sa dove trovarla?»
«Tutti ne parlano, ma nessuno l’ha vista… Ora che mi ci fai pensare…Un contadino raccontò di averla incontrata… Nessuno gli ha dato credito anche perché spesso esagera con il vino… Non so dirti altro onestamente.
Un violento colpo di bastone colpì l’armatura di Ezio sulla schiena facendolo istintivamente voltare.
«Signorine! Vogliamo finirla con questo minuetto e iniziare ad allenarvi sul serio? Presto andrete sul campo di battaglia e non vi faranno certo i salamelecchi. Tu vieni con me, ti farò allenare con qualcuno adeguato. Invece tu prendi un cavallo ed esercitati con la lancia a colpire quel piccolo bersaglio insieme agli altri.»
Non ci andò leggero il maestro d’arme, ormai dopo cinque ore di noiosi ed estenuanti allenamenti con addosso l’armatura erano tutti esausti, ma lui ancora insisteva.
«Presto mi ringrazierete per tutto il sudore che vi sto facendo versare, se potrete invecchiare e godervi i nipoti sarà solo grazie a questi giorni di duro allenamento.»
Nonostante i suoi desideri anche lui si rese conto che i guerrieri avevano raggiunto il loro limite e li congedò dandogli anche una giornata ulteriore di riposo.
Ezio, incredulo per l’imprevista opportunità, decise di approfittarne per andare alla ricerca della fata, l’unica che poteva davvero aiutarlo. Forse!
Si liberò dell’armatura e saltò in sella al suo cavallo con cui raggiunse la piazza principale della città. Si recò a colpo sicuro presso il piccolo tempio circolare dedicato al dio delle foreste e chiese, senza successo, a tutti i fedeli che incontrava se avessero mai visto la fata del bosco sui monti ad est o avessero informazioni utili per contattarla. Per sua fortuna incontrò un vecchio sacerdote diretto al tempio e anche a lui chiese notizie.
«Non l’ho mai incontrata né vista, le fate si mostrano solo a chi decidono loro. Me ne ha parlato però un uomo che ha sostenuto di averla vista e averci parlato, si chiama Tommaso, il figlio del cestaio, e lo puoi trovare fuori le mura, tra i contadini. Non posso garantirti che quanto racconta sia vero, a lui piace bere, però è l’unico indizio che posso darti.»
Corse fuori l’abitato e galoppò verso le case dei contadini dove avrebbe potuto sperare di incontrare questo Tommaso.
«Sei tu Tommaso il figlio del cestaio?» chiese ad un bracciante sovrappeso e dal viso rubicondo che gli avevano indicato.
«Sì! Cosa volete da me?»
«Vuoi guadagnare un po’ di soldi?»
«Chi non lo vorrebbe? Dipende, però, da cosa volete in cambio.»
«Portami dalla fata del bosco e ti ricompenserò molto bene.»
A quella richiesta l’uomo trasalì. «Non posso più incontrarla, l’ho cercata per chiederle aiuto, ma il mio cuore non era puro e lei si è adirata molto minacciandomi e imponendomi di non comparire mai più davanti ai suoi occhi.»
«Dimmi almeno come trovarla.»
«Non è facile e anche io ho vagato a vuoto per due settimane nel bosco prima di trovarla. Posso accompagnarvi fino ad un certo punto, poi vi darò delle indicazioni, ma dovrete proseguire da solo.»
«Va bene, partiamo.»
«Innanzitutto vi costerà parecchio il servizio e voglio essere pagato in anticipo. Se a voi vanno bene le mie condizioni allora partiremo domani all’alba, non possiamo correre il rischio di essere sorpresi di notte in quei luoghi.»
«A domani allora.»
Il tipo non gli aveva fatto una buona impressione, ma non aveva scelta, solo la magia avrebbe potuto aiutarlo in quella che a tutti gli effetti appariva come una impresa disperata.
Quella notte cercò di dormire, ma non fu facile: un misto di timore per l’ignoto in cui si stava per avventurare, di diffidenza verso la sua guida e di malinconia per quell’amore sfortunato, gli impediva di rilassarsi.
Poco prima dell’alba era già in piedi e cavalcò fino a raggiungere la sua guida che stava sellando il suo vecchio ronzino.
«Possiamo andare!»
«Quanta fretta! Non dimenticate qualcosa?»
«Mi sembra di aver preso tutto. Non dimentico nulla.»
La mano tesa del contadino gli ricordò la parte più sgradevole del patto che aveva accettato il giorno prima. Il pagamento doveva essere anticipato. Non si fidava, ma non aveva scelta e versò le monete pattuite.
«Ora possiamo andare, direzione est, verso le grandi foreste.» Disse la guida evidentemente soddisfatta per quell’insperato guadagno.
Dopo alcune ore giunsero nei pressi della foresta e vi si inoltrarono seguendo uno dei sentieri, larghi abbastanza da far passare uno di quei carri usati dai contadini per approvvigionarsi di legna.
Man mano che avanzavano l’ambiente divenne sempre più selvaggio e il sentiero si restrinse sempre più fino a ridursi al punto di essere appena accennato. Il percorso divenne largo appena quanto basta per far passare un solo cavallo per volta o una fila di persone appiedate.
«Oltre non posso più andare. Siete quasi arrivato, seguite quel sentiero fino a quando non troverete un piccolo specchio d’acqua. Lì io incontrai la fata.» indicò Tommaso a Ezio
«Va bene, ma una volta trovato il piccolo lago che cosa devo fare?»
«Invocatela, sarà lei a mostrarsi, se lo desidera.»
Non si sentiva a suo agio in quel luogo reso oscuro pure di giorno dall’ombra degli alti alberi secolari. Anche il suo cavallo era timoroso e procedeva con circospezione. Finalmente in lontananza vide il riflesso argentato di uno specchio d’acqua, scese da cavallo e presolo per le briglie si avvicinò.
———-
«Mi piace.» Valutò Federico rivolto al viso sul piccolo schermo.
«È quindi di tuo gradimento?»
«Sì, non vedo l’ora di riprendere domani.»
Lo salutò, anche se non fosse necessario, e scese al piano inferiore dove Bice, la moglie, aveva preparato il pranzo.
«Ha chiamato il tuo editore.» Lo informò la moglie.
«Ti ha detto cosa voleva?»
«Che devi darti una mossa, lui non può aspettare all’infinito. Gli ho detto che stai lavorando senza soste, ma forse è meglio se lo rassicuri tu.»
«Magari lo farò domani sera, dopo pranzo ho un incontro pubblico di promozione per i miei romanzi già pubblicati e non posso pensare a lui.»
«Dimmi la verità, ci sono problemi?»
«C’erano, adesso sono risolti e in breve tempo il romanzo sarà terminato mia cara Ginevra»
«Ginevra? Chi è questa Ginevra?»
Aveva fatto un brutto errore, per fortuna aveva con sé la stampa dei fogli con il testo elaborato dalla macchina ricevuta dall’amico.
«È il protagonista femminile della mia storia, leggi e dimmi che te ne pare.»
«Come hai fatto a confondermi con lei?» Rispose la donna dopo aver letto quelle poche pagine.
«Lei è rossa e io castana, io porto gli occhiali e lei no, lei è così sottile, io ho qualche chiletto da smaltire e un po’ di cellulite… e poi è così giovane.»
«Sei sempre bellissima.» Cercò con questa frase abbastanza scontata di fugare quei dubbi e, per sottolineare quanto affermato, le diede un leggero bacio sulle labbra.
Capitolo 3
Quella mattina Federico si svegliò stranamente tardi rispetto al suo solito. Da un lato era curioso di vedere come la sua storia si sarebbe sviluppata e dall’altro era sicuro che a breve avrebbe consegnato il romanzo all’editore e quindi non ci sarebbe stato bisogno di sbattersi più di tanto, in fondo era la macchina che avrebbe fatto buona parte del suo lavoro.
Si alzò a fatica e si recò in bagno per le usuali attività mattutine. Diretto verso la cucina per fare colazione notò in camera da letto sua moglie che si stava preparando per uscire e, con indosso solo le mutandine, stava scegliendo gli abiti da indossare. Di soppiatto le si avvicinò alle spalle e cominciò a baciarle il collo allungando le mani verso i seni.
«Ma che fai? Con tutte le cose che abbiamo da fare. Non c’è tempo.»
Deluso fece brevemente colazione, si recò nello studio, indossò il casco e rivolto al viso sullo schermo annunciò:
«Ok, sono pronto. Possiamo riprendere la scrittura del romanzo.»
«Qualcosa non va?» Gli chiese il sistema in ossequio al codice di cortesia in voga tra umani, lui non aveva certo bisogno di chiedere, gli leggeva nella mente.
«No! Va tutto bene, procediamo.»
Dopo un po’ di tempo il sistema segnalò a Federico la fine di un altro blocco di pagine scritte e curioso lesse:
~~~~~~
Con molta circospezione Ezio si era avvicinato allo specchio d’acqua. Stranamente non si udirono più versi di animali e tutto divenne silenzioso al punto da sentire distintamente il suono dei suoi passi e il rumore degli zoccoli del cavallo. Quando fu quasi giunto alla riva legò le redini ad un albero e da solo avanzò come se camminasse sulle uova.
Non trovò nessuno. Deluso guardò in ogni direzione senza fortuna. Non poteva tornare a mani vuote e cominciò a invocare la fata supplicandola di mostrarsi.
All’improvviso vide una donna di bellissimo aspetto su uno scoglio lì vicino.
Eppure era sicuro! Fino ad un attimo prima non c’era nessuno.
La fata, mollemente sdraiata, indossava un vestito corto in pizzo, aperto sul davanti per dare risalto al suo seno generoso. Le sue forme perfette erano valorizzate dal vedo non vedo creato sia dall’indumento, sia dai lunghissimi capelli color turchino.
Inaspettatamente scomparve all’improvviso per poi riapparire vicino a lui. Come uno squalo verso la preda cominciò a girargli intorno con fare sensuale guardandolo dritto negli occhi. Lentamente si approssimò a lui sempre più finché, arrivatagli molto vicino, iniziò a carezzargli una guancia per poi tirarlo a sé e baciarlo con passione.
Il minuscolo vestito cadde per terra e lei prese la mano destra del ragazzo, impietrito per la sorpresa, portandola verso il suo inguine mentre con la sua mano sinistra gli carezzava un gluteo.
Il ragazzo non sapeva cosa fare, l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato da una fata era un approccio così esplicito. Far irritare la persona a cui chiedere aiuto non era una scelta saggia e poi quella pelle così delicata al tatto invitava alle carezze sempre più spinte.
Era combattuto il ragazzo, da un lato si sentiva soggiogato da quella prorompente femminilità e dall’altro quella situazione lo metteva a disagio.
———-
Federico interruppe la lettura e chiese al sistema:
«Forse la fata dovrebbe essere un po’ più vestita, non credi?»
«Se la vuoi vestita pensala vestita.»
«Veramente all’inizio l’ho pensata vestita.»
«Appunto, all’inizio. Poi hai lasciato andare la fantasia.»
«Ok, inutile cavillare. La fata porcella non mi dispiace neppure però i miei lettori preferiscono situazioni più classiche. Riscrivi questo pezzo con una fata vestita in maniera consona e con atteggiamenti più sobri.»
«Come vuoi.»
Dopo un po’ arrivò il testo corretto